Bologna chiama, Firenze risponde!

Fermiamoli

Fermiamoli

Dopo la manifestazione del 22 ottobre a Bologna, tappa del processo di convergenza cresciuto con la lotta in Gkn, l’alluvione in pianura e gli smottamenti in montagna ci ricordano quanto scarto vi sia ancora tra le nostre giuste rivendicazioni e la direzione verso cui marcia ancora questo mondo.
PER QUESTO, PER ALTRO E PER TUTTO

Pullman da Firenze: appuntamento ore 13.00 in Gkn o a Firenze Sud nel parcheggio RAI.
Per prenotazioni contattare il numero 3392927745 o iscriversi sul form al link https://forms.gle/SnHvftMyDDJ8Ssgi6

L’Italia è uno Stato in guerra.
Questa è la lente attraverso la quale guardiamo rispondendo all’appello per il 17 giugno, ad un mese dall’alluvione, quando Bologna chiama tutte e tutti in piazza.
La guerra rimodula ogni altro livello: politico, sociale, culturale ed economico.
La guerra è l’espressione più alta dello scontro tra capitali e nello scenario in cui si manifesta mette a confronto eserciti espressione di quegli stessi interessi.
Sul fronte interno si manifesta esclusivamente come guerra di classe, dall’alto verso il basso.
Uno Stato in guerra indirizza ogni suo sforzo nel militare: economico, mediatico e culturale.
Solo attraverso la repressione può assicurarsi il controllo di ogni spinta alla rottura e all’emancipazione, basti guardare a ciò che oggi sta accadendo davanti ai cancelli di Mondo Convenienza a Campi Bisenzio.
L’emergenza è la categoria attraverso cui legittima ogni sua forzatura.
La guerra è questo e noi ci siamo dentro anche se le bombe ancora non cadono sulle nostre città, sui nostri quartieri e sulle nostre fabbriche.
Le dichiarazioni grottesche e roboanti di un “Piano Marshall” per la ricostruzione in Emilia-Romagna hanno ben presto lasciato spazio ai fatti: un decreto che eroga fondi insufficienti per far fronte alla situazione e tra l’altro li recepisce tagliando altre voci di bilancio a sostegno di lavoratori, disoccupati e dalla spesa sociale in continuità con quanto fatto per i miliardi di euro spesi per la guerra e l’invio di armi a Kiev.
Non si tratta poi solo di una questione quantitativa ma soprattutto “qualitativa”: questi soldi verranno spesi tenendo conto di quanto le grandi opere e la cementificazione devastino il territorio o sarà l’occasione per una nuova abbuffata speculativa?
Come in Gkn: i fondi pubblici, a partire dalla cassa integrazione, sono a disposizione dei giochi del padrone per arrivare alla chiusura o della collettività per impedirla?
La nomina di un Commissario per “l’emergenza” in parte già risponde a questa domanda.
È la sintesi di un sistema in cui la tendenza all’accentramento dei poteri è sempre più evidente e la cui gestione non potrà che chiudere ogni spazio di agibilità che si ponga al di fuori del proprio controllo.
Questo in fin dei conti è il “piano di resilienza”: adattarsi, abituarsi e assuefarsi a questa realtà di miseria e sfruttamento dove gli stessi fondi Pnrr vengono indirizzati all’industria pesante e alle grandi opere piuttosto che altrove…
Il suo esatto contrario è la Resistenza.
Le strade dell’Emilia Romagna assomigliano maledettamente a uno senario di guerra dopo un bombardamento.
Lo Stato sin da subito ha cercato di ribaltare la realtà per riportarla alla “normalità”, alla compatibilità, mentre invece stiamo assistendo allo sviluppo di una pratica solidale, attorno alla quale si ricompone il tessuto sociale che si organizza in modo autonomo e autogestito.
Questo è lo spazio dove si creano i presupposti per la messa in discussione delle cause che producono simili disastri, che consentono di mettere a fuoco chi siano i responsabili e a verifica le pratiche per scrivere un futuro nuovo e diverso.
Oggi in Emilia-Romagna si concentrano e si polarizzano le contraddizioni che viviamo quotidianamente nella distruzione della scuola, della sanità e del trasporto pubblico, nella disoccupazione o nei salari che ci vengono corrisposti ormai troppo bassi anche per coprire la terza settimana del mese.
È anche per questo che in migliaia ci siamo organizzati in iniziative di raccolte fondi o direttamente sul campo, “stivali nel fango”, per soccorrere le popolazioni alluvionate.
Ci rifiutiamo di essere gli “angeli” della catastrofe perché rivendichiamo la necessità di un modello sociale e economico opposto a quello che produce cementificazione, surriscaldamento globale e sfruttamento. Un sistema che corre alla guerra.
Saremo in piazza con chi ha scelto di non assuefarsi a tutto ciò.
Saremo in piazza per dire che non più un soldo deve andare per la guerra, per l’invio delle armi, per nuove basi militari che sia quella di Coltano o l’insediamento del comando NATO nella caserma di Rovezzano alle porte di Firenze.
Li pretendiamo invece per la ricostruzione, per scuole ed ospedali, per i lavoratori e le lavoratrici: indisponibili ad arruolarci nella loro guerra ma disposti a lottare per fermarla.
Se l’alluvione è parte di un processo di crisi, la manifestazione di Bologna deve essere parte di un processo di Convergenza e questo processo rimanda a sua volta alla necessità impellente di opporsi alla guerra.

Ancora una volta la lotta è “per questo, per altro e per tutto”.

Assemblea di Convergenza fiorentina

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