Non c’è antifascismo senza lotta di classe, non c’è lotta di classe senza antifascismo.
Il 26 marzo a Firenze ci sarà la manifestazione nazionale promossa dal Collettivo di Fabbrica GKN e dal gruppo di supporto “Insorgiamo con i Lavoratori GKN.”
Questo corteo rappresenta a nostro avviso un importante banco di prova per tutte le realtà militanti e la loro capacità, mettendosi in gioco, di essere protagoniste dentro un processo che si pone l’ambizione di un reale ribilanciamento dei rapporti di forza in questo paese.
Come Firenze Antifascista abbiamo voluto fare nostro l’invito ad essere parte della costruzione della manifestazione, individuando i punti che secondo noi sono ad oggi centrali per chi fa dell’antifascismo militante una pratica di lotta quotidiana, e perché questa sia necessariamente la nostra piazza.
1. È la piazza di chi lotta, è una piazza contro paura e repressione! Vogliamo che quella del 26 marzo sia la piazza di chi lotta e paga il prezzo delle sue scelte: da sempre la macchina dello stato colpisce gli/le antifascisti/e che scelgono di opporsi concretamente alla presenza dei fascisti nelle loro città.
Lo sappiamo bene a Firenze, dove due anni fa abbiamo avuto 15 compagne/i condannati in Cassazione a oltre un anno di pena e al pagamento di 45mila euro complessivi di multa come conseguenza di un corteo antifascista nato in risposta a una aggressione squadrista ai danni di due adolescenti, e dove il 3 di maggio è attesa la sentenza per quelle/quei compagne/i che nel 2014 alle Piagge impedirono lo svolgimento di un comizio di Forza Nuova. Guardando oltre Firenze vediamo la repressione colpire compagne e compagni di tutta Italia, ci vengono in mente, ad esempio, gli antifascisti genovesi colpiti il mese scorso da condanne pesantissime in primo grado per i fatti di piazza Corvetto. La repressione è l’arma che lo stato usa per forzare le compagne e i compagni ad abbassare la testa, a rientrare nei ranghi di un sistema che ci vuole zitti e obbedienti, pronti a servire il capitale; la risposta a questi attacchi sta a nostro avviso nel rilancio della solidarietà attiva: due anni fa dopo le condanne della Cassazione un folto corteo di antifascisti attraversava Firenze per ribadire con forza che dove ci sono compagne e compagni organizzati e determinati il fascismo non avrà mai spazi di agibilità. Per questo motivo saremo presenti a Genova al corteo di solidarietà per i condannati di Piazza Corvetto. Per questo vogliamo insistere sulla creazione di una vera rete di solidarietà antifascista contro la repressione per riuscire a rispondere colpo su colpo alle mosse di polizia e magistratura, perché siamo convinte/i che l’antifascismo si faccia nelle strade e nelle piazze delle città.
Non possiamo però tracciare una riga che si fermi all’antifascismo: le classi popolari subiscono la repressione in mille altre forme, che sia a scuola quando si occupa o sul posto di lavoro quando ci si organizza per migliorare le proprie condizioni. Come sabato scorso, dopo le cariche e gli arresti sul corteo contro lo sgombero di Corsica81 e il processo per direttissima ai 4 arrestat* che ha stabilito obblighi di firma e un divieto di dimora. Se a Firenze sindaco e questura pensano di giocare con la logica dei buoni e dei cattivi si sbagliano di grosso: la nostra solidarietà concreta deve schierarsi con alzi la testa e si organizzi per cambiare questo sistema
2. I padroni, lo Stato e la carta del fascismo. È proprio in questo frangente che emerge un fascismo perfettamente complementare all’azione dello stato: parliamo di quel fascismo strumento dei padroni, utile ad arrivare dove le apparenze dello stato democratico sono ancora costrette a fermarsi. In questi mesi abbiamo assistito a un impiego sempre crescente di squadre di vigilanza privata e bodyguard fuori dai cancelli delle fabbriche, a volte per intimidire con la loro presenza, altre volte attaccando direttamente lavoratori in sciopero, come è successo innumerevoli volte fuori dai magazzini della logistica e come abbiamo visto succedere anche a Prato fuori dalla Texprint ma non solo.
Questo ricorso alla forza per eliminare situazioni scomode da parte del padronato è a nostro avviso sintomatico del senso di impunità che deriva dalla complicità dello stato, spesso evidenziata da celerini rimasti fermi ad assistere a pestaggi di lavoratori in sciopero ma sempre pronti a caricare quando davanti hanno lavoratori che rivendicano migliori condizioni.
3. “L’antifascismo è nostro, e non lo deleghiamo”. Questo atteggiamento da parte dello stato non è casuale. Ogni anno all’arrivo del 25 aprile le istituzioni si riempiono la bocca di belle parole (vero sindaco Nardella?), in cui ci dicono che le istituzioni dello stato democratico borghese rappresenterebbero il baluardo dell’antifascismo. Rifiutiamo fermamente questa idea: quella che noi vediamo è piuttosto una deriva reazionaria in cui “l’ordinarietà dell’emergenza” porta ad ogni emergenza successiva (immigrazione, terrorismo, pandemia, ecc.) ad un incremento del livello di controllo sociale e della repressione anche preventiva. La continuità tra misure repressive come la sorveglianza speciale, eredità del codice Rocco di epoca fascista, e misure più recenti come il Daspo urbano, il foglio di via ecc. indicano chiaramente la direzione in cui sta andando la “democrazia” ed è quella di una sempre maggior continuità e contiguità con il fascismo.
4.”Il nostro posto è qua. Gli anticorpi del fascismo siamo noi.”
Dunque, come avanzare e far maturare coscienza, pratica e militanza antifascista capace di saper riconoscere e combattere i mille volti reazionari del fascismo? Riconoscendone il ruolo storico -più che le sue forme storiche- il fascismo è una pedina funzionale agli equilibri di questo sistema, di cui si serve in modi e forme differenti ma con un chiaro obiettivo: agire come un bastone fra le ruote ai processi di trasformazione ed ai percorsi collettivi di emancipazione.
Dividere le classi popolari, i lavoratori, gli sfruttati e i subalterni, renderli dunque più affabili alla macchina di comando, tentando dunque di reprimere il nascere di percorsi di emancipazione e di lotta. Diffondere il germe nazionalistico, razzista o di una visione sessista, binaria, bigotta e abilista altro non è che funzionale ad una visione del mondo che omologa, che distingue e discrimina non fra chi sfrutta e chi è sfruttato, ma secondo logiche infami e vigliacche di supremazia, di dominio, di sopraffazione.
La ricomposizione e la diffusione della coscienza di classe, la solidarietà popolare, così come i percorsi di lotta, di autorganizzazione, di mutuo appoggio sono di per sé stessi antidoto al propagarsi e diffondersi del fascismo. Ogni territorio che si riconosce in comunità e dove si sviluppano legami di solidarietà, ogni posto di lavoro dove il protagonismo dei lavoratori è presente, ogni scuola dove nasce un collettivo, ogni quartiere dove è presente un comitato contro la speculazione, gli sfratti, un consultorio o un centro contro la violenza sulle donne, le lotte per la salvaguardia della salute e dell’ambiente sono di per sé azione e pratica antifascista. Lo sono non solo perché tolgono terreno da sotto i piedi a opportunisti, politicanti e venditori di odio quali sono i camerati, siano essi “da strada, o in doppiopetto”, ma perché tornano a marcare con forza una discriminante netta.
C’è chi rifiuta di essere servo o ingranaggio di questo sistema perverso, che impone ogni giorno di più egoismo, competizione sfrenata, paure e diffidenza, che deve costantemente arroccarsi per garantirsi la sicurezza dei propri privilegi e della propria sopravvivenza, ma continua a credere che sia possibile cambiare lo stato di cose. Chi non si fa ingannare, chi crede nella capacità delle proprie azioni, delle proprie scelte, della volontà collettiva; chi crede che bisogna mettersi in gioco e lottare, riconoscersi e trovarsi compagni e compagne nella lotta stessa, e che il futuro non sia già scritto.
La lotta (lo dimostra la lotta antifascista nata e cresciuta sotto un regime totalitario e in mezzo a guerra, repressione e povertà) è ancora il motore di una storia che è tutta da scrivere.
E ancora una volta, nel proprio piccolo grande percorso, anche la storia di una fabbrica e dei suoi lavoratori è qui a dimostrarlo. Lavoratori che si sono trovati costretti a scegliere, e hanno scelto di resistere davvero. E dal primo giorno hanno fatto proprio il motto partigiano delle brigate che liberarono Firenze. INSORGIAMO! Perché oggi, come allora, c’è bisogno di mettersi in gioco, e andare a farla la Storia. Perché oggi come allora, nessuno si libera e si salva da solo/a. Nessuna fabbrica si salva da sola, nessun posto di lavoro si salva da solo.
Perché essere partigiani e partigiane del nostro tempo, non è soltanto prendere parte e opporre resistenza. Ma ciò che muoveva ieri, e deve tornare a muovere oggi, i partigiani e le partigiane di ogni tempo è quella di portare nel cuore, immaginare, lottare e costruire un domani migliore e una società più giusta.
Per questo, da antifasciste e antifascisti, diciamo che è tempo di insorgere.
Diciamo che è tempo di tornare ad essere partigiani del nostro tempo!
Firenze Antifascista