Il 24 Febbraio sono rimasti tutti un po’ sorpresi dalla scelta della Russia di riconoscere le repubbliche popolari del Donbass e di invadere il territorio ucraino in più punti. Probabilmente è rimasto meno sorpreso chi in questi anni ha prestato attenzione alla questione dello scontro economico e geopolitico in atto e alla situazione creatasi con le cosiddette rivolte di Piazza Maidan. Perché, checché ne dica Draghi che al parlamento italiano dice che non è utile guardare indietro, la guerra in Ucraina c’è proprio dal 2014. Da quando un colpo di stato, certo appoggiato da una parte del popolo ucraino, ma altrettanto certamente finanziato e favorito dalle potenze occidentali (USA e UE in primis), ha rovesciato il governo Janukovyc e messo al potere una élite legata agli interessi, appunto, occidentali. Ciò ha esacerbato le divisioni latenti della società ucraina e portato alla proclamazione delle c.d. repubbliche popolari del Donbass, abitante in stragrande maggioranza da una popolazione russofona e che non vuole recidere il proprio legame con la Russia.
In questo frangente è utile spendere due parole sulla questione dell’influenza di gruppi e idee neofasciste e neonaziste in Ucraina. Le milizie neonazi hanno avuto un ruolo preponderante negli scontri di Piazza Maidan, tant’è vero che, non appena preso il potere, dal palazzo del governo di Kiev fu calata una gigantografia di Stepan Bandera, collaborazionista di Hitler durante l’occupazione nazista in funzione antirussa e tutt’oggi celebrato come “padre della patria”. Il partito neofascista Svoboda, gemellato con Forza Nuova prima che quest’ultima si schierasse a favore del Donbass, ebbe ben 4 ministri nel primo governo “democratico”, come si usava dire nei nostri giornali e tv. La guerra scatenata dal nuovo governo contro i cosiddetti “separatisti filorussi” si connotò quindi da subito anche con aspetti ideologici: da una parte milizie e battaglioni apertamente neonazisti come quello d’Azov o il Battaglione Aidar (ma ce ne sono altri), dall’altra formazioni che facevano richiamo all’antifascismo. Se la situazione è cambiata negli anni, con la successione al governo di Zelensky al posto di Poroshenko, con gli scarsi risultati elettorali delle formazioni fasciste e naziste, non si può certo dire che l’estrema destra non abbia radicamento e influenza in Ucraina. I Battaglioni di cui abbiamo parlato sono stati decorati, inquadrati nell’esercito regolare ucraino e addestrati, diffusissima è una retorica ultranazionalista, le minoranze vengono perseguitate: insomma, non si può dire che il fascismo non abbia cittadinanza in Ucraina, è considerata un’opzione politica percorribile. Detto questo, a nostro modo di vedere, interpretare la guerra come scontro tra neonazisti e antifascisti è del tutto fuorviante. Per le ragioni che abbiamo detto prima e per il fatto che la Russia non rappresenta certo per noi un polo socialista (ma neanche progressista) a cui guardare con favore come militanti, lavoratori, proletari. Non lo è per la struttura economico-politica dello stato russo e non lo è per i rapporti politici che legano il blocco di potere putiniano alla destra europea e del nostro paese. E’ difficile non vedere come il governo russo rappresenti per le destre c.d. “sovraniste” (per loro sì!) un punto di riferimento e anche una fonte di grandi finanziamenti, come sta venendo fuori dalle varie inchieste su Lega Nord, Rassemblement National, Forza Nuova, la FPO austriaca, ecc.
Secondo noi la guerra in Ucraina non può che essere letta come il punto più alto (per adesso) di una competizione serrata, uno scontro globale fra blocchi capitalisti che vede gli occidentali (e gli americani in particolare) in declino e impegnati a conservare, costi quel che costi, la supremazia in campo economico e militare di fronte alle sfide poste dalla Russia, dalla Cina e dalle altre potenze regionali emergenti. Una competizione feroce per l’accaparramento di mercati e risorse, che ha spinto la NATO a sfruttare la fine del blocco sovietico per disgregarlo, anche manu militari (vedi Jugoslavia 1999), e includere nel suo sistema militare quasi tutti i paesi dell’est, determinando un accerchiamento e una minaccia inaccettabile per Mosca. La quale reagisce con una invasione che ci riporta col pensiero alle guerre dell’800 o del ‘900 in cui si combatteva per lo sbocco sul Mediterraneo o sul Mar Nero.
Insomma uno scontro in cui a farne le spese, come sempre, sono proprio le classi popolari, senza distinzioni di nazionalità: con i morti in battaglia o sotto occupazione, con i costi delle operazioni scaricati su di noi, con gli aumenti dei prezzi e delle spese militari che andranno ad approfondire i tagli alla spesa sociale. Il tutto in una situazione già di per sé drammatica per l’effetto delle crisi economiche degli ultimi anni e della pandemia.
Ci viene chiesto, con una propaganda asfissiante, in cui ogni voce critica viene ridicolizzata, ostracizzata, accusata di essere al soldo di Putin, di arruolarci per difendere i nostri interessi nazionali, i nostri valori, che poi sarebbero quelli del mondo occidentale e degli Stati Uniti. Quali sarebbero questi valori? La democrazia liberale contro l’”autoritarismo asiatico”? La libera iniziativa economica contro il dirigismo? Ma per favore!! Viviamo in un paese che taglia i fondi per la sanità pubblica e per l’istruzione ma aumenta le spese militari, un paese in cui i salari scendono e l’inflazione galoppa, un paese in continua emergenza in cui la repressione si vive ogni giorno: nei posti di lavoro, nelle scuole, per le strade. Ne sono un esempio le decine di denunce recapitate agli studenti che hanno occupato le loro scuole superiori, gli sgomberi degli spazi sociali, i daspo urbani, le condanne agli antifascisti e chi più ne ha più ne metta…
E come se non bastasse adesso i nostri rappresentanti, al governo e in parlamento, tutti, PD in primis, si mettono l’elmetto e la tuta mimetica e non esitano a portarci in guerra a suon di armi, dichiarazioni roboanti, sanzioni. E quel banchiere di Draghi si permette di chiederci se vogliamo la pace o il condizionatore?!
Siamo già in guerra. Lo siamo perché le sanzioni sono un atto di guerra, perché inviare le armi è partecipare al conflitto, perché in Italia ci sono decine di basi USA e NATO e decine di testate nucleari. Perché dall’Italia, e da Sigonella in particolare, partono i pattugliatori marittimi, aerei che forniscono agli ucraini informazioni cruciali per attaccare le forze navali russe, come abbiamo visto nelle ultime settimane con l’incrociatore Moskva. Perché banalmente il comando NATO per le operazioni in Medio Oriente e nell’est Europa si trova in Italia, in provincia di Napoli.
A nostro modo di vedere è urgente prendere parola, contestare questa guerra e le sue motivazioni profonde, agire contro il nostro imperialismo e sabotare questa economia di guerra. Chiedere la riconversione civile dell’industria bellica, che con il conflitto in atto ha visto schizzare alle stelle il valore delle azioni e i dividendi per i suoi azionisti, oltre ad un’ottima occasione per sperimentare nuovi strumenti di morte e metterli “in vetrina”. Non possiamo non menzionare in questo senso Leonardo Spa, spesso definita un “fiore all’occhiello” del nostro territorio, un colosso che vende armi ai peggiori governi del mondo, come Turchia, Israele, Arabia Saudita.
E’ necessario pretendere che la “riconversione ecologica” non resti lettera morta, già che con la guerra si torna al fossile e agli armamenti.
E’ urgente mobilitarsi e lottare, resistere a questo ennesimo attacco alle condizioni di vita dei proletari, ai nostri diritti finanche alla nostra stessa esistenza.
Diciamo che bisogna resistere perché oggi è il 25 Aprile, la festa della liberazione dal nazifascismo.
La festa della resistenza partigiana. Ed è inaccettabile il paragone che viene fatto tra la resistenza partigiana durante la seconda guerra mondiale e l’Ucraina di oggi. Per tanti motivi: perché la resistenza italiana combatteva contro il nazifascismo, un’ideologia estrema che si basava su segregazionismo, superiorità razziale, genocidio degli ebrei ed eliminazione di ogni diversità. Pensare di creare somiglianze tra chi ha pagato con la vita gli eccidi e le torture dei repubblichini e delle SS e chi ha come proprio simbolo il collaborazionista di Hitler ci fa semplicemente orrore. Il nazionalismo identitario ucraino, che impregna la politica ucraina come le azioni militari, ha ben poco a che vedere con gli ideali che guidavano i partigiani e le partigiane: libertà, solidarietà, giustizia sociale. Si trattava di patriottismo, non di un nazionalismo escludente: a Valibona c’erano comunisti, anarchici, italiani, russi e scozzesi, accomunati da uno stesso spirito che non è quello dei legionari presenti adesso in Ucraina. Lo spirito era anche quello di mettere fine alla guerra nel minor tempo possibile, il contrario di quello che vediamo e sentiamo dai maggiori leader europei e americani che inviano armi e non fanno altro che invocare la vittoria finale degli ucraini.
In ultimo esprimiamo solidarietà all’ANPI, associazione di cui non sempre condividiamo le posizioni, fatta eccezione per quelle di molte sezioni locali (tra cui quella di Campi Bisenzio), sotto attacco in queste settimane per non essersi accodata alla retorica bellicista e ipocrita del centro destra e del centro sinistra.
Sentiamo che è un momento cruciale, e sappiano quelli che sono al governo e che ci stanno spingendo in guerra che la gente spesso dimentica, ma a volte ricorda pure…
Fuori l’Italia dalla guerra e dalla NATO! Fuori la NATO dall’Italia!
Non un soldo in più per la guerra!
Noi non ci arruoliamo!