Camilo Cienfuegos

Camilo Cienfuegos

Camilo Cienfuegos

Il nostro omaggio a camilo cienfuegos per il 50° anniversario dalla sua scomparsa

Video: https://www.youtube.com/watch?v=SgXn5yQqFHw

Camilo Cienfuegos, l’héroe sonriente, perché nelle tante fotografie e ritratti appare sempre sorridente e gioviale, è forse l’unico eroe più popolare di Ernesto “Che” Guevara a Cuba.
Camilo era un uomo del popolo, un habanero doc, di umili origini, nato nel quartiere popolare di l’Avana vecchia e lì tra quella gente rimane per antonomasia il più grande ed indimenticato eroe cubano di tutti i tempi (più del Che e dello stesso Josè Martì).
Mentre Che Guevara ha avuto un’indiscutibile “internazionalizzazione” della sua figura, del suo pensiero, delle sue idee, Camilo Cienfuegos ha attecchito popolarmente, è rimasto un eroe su scala nazionale: la imagen del pueblo.
Ogni guerrigliero latino americano potrebbe facilmente riconoscersi nella sua figura. Alto, bruno, magro perennemente mostratoci con una barba bruna ed un cappello a metà strada tra il cow-boy statunitense ed il guajiro caraibico e con gli occhi protesi ad una genuina risata.
Aveva ventiquattro anni quando giunge in Messico per partecipare alla spedizione del Granma. E’ un’età che corrisponde a quella media dei suoi compagni: Camilo è più giovane di Fidel e del Che, ma più vecchio di Raul Castro e di Frank Paìs. Due anni più tardi, trasformato in barbuto e in leggendario capo guerrigliero, entrerà all’Avana alla testa delle colonne dell’esercito ribelle, al fianco del Che.
All’inizio Camilo Cienfuegos è un giovane come tanti altri, mosso dal patriottismo e dallo spirito di avventura. La lotta farà di lui un leader. Certi particolari sulla sua biografia e gli aneddoti che corrono sul suo conto ci dicono però qualche cosa di più.
Un mattino all’alba, poco dopo il golpe di Fulgencio Batista, in casa dei genitori, con i quali all’epoca Camilo viveva, era comparso un cane randagio e Camilo lo aveva adottato, come prima altri cani, battezzandolo Fulgencio: gli era parso che fosse il nome più adatto per un bastardo.
Gli è che, in quella casa, la politica era pane quotidiano. Il padre di Camilo, Ramòn, uno spagnolo, era stato attivista sindacale della Uniòn de Operarios Sastres (Unione dei lavoratori di sartoria) e qualche anno prima aveva pubblicato un manifesto dal titolo incendiario La rivoluciòn rusa si extenderà por el mundo (La rivoluzione russa si estenderà a tutto il mondo).
In seguito, durante la guerra civile spagnola, Camilo, ancora bambino, aveva spesso accompagnato il padre durante le sue collette per la raccolta di fondi.Buon narratore, amante degli animali, audace e pronto ad affrontare qualsiasi rischio, animato da un profondo senso dell’amicizia, Camilo mancava però di una virtù: la disciplina. All’epoca, tuttavia, poteva sostituirla con lo spirito d’avventura.
Operaio come suo padre, un giorno aveva deciso di andare negli Stati Uniti.
Lì aveva fatto i lavori più svariati, nessuno dei quali stabile. Fu proprio in quel periodo che Camilo sviluppò un grande senso dell’ironia e dell’autoironia, iniziò a firmare le sue missive ai familiari ed agli amici con un sarcastico “K100”, che in spagnolo si pronuncia “Ca Cien”.
Ma un bel giorno il cubano emigrato avverte “un gelo da spaccare il cuore a chiunque”, e ritorna in patria. La distanza gli ha permesso di rendersi conto ,dei mutamenti intervenuti. E’ partito con Batista al potere; tornato, ritrovava ancora Batista al suo posto: con la differenza che l’ex sergente ha ormai dato fondo a tutti i suoi trucchi demagogici, mostrando apertamente il ceffo del dittatore.
“Sono certo, – scrive Camilo a un amico nel 1956 – che se tu fossi a Cuba resteresti sbalordito delle cose che qui avvengono. I soprusi sono tali, che solo chi ne é testimone può convincersi della loro realtà”.
La lotta per le strade, le manifestazioni che nelle città si sono trasformate in aperta protesta lo coinvolgono, e Camilo finisce una volta in carcere e un’altra all’ospedale.
In quel torno di tempo, gli capita un’esperienza che non dimenticherà mai più, e la riferisce in una sua lettera: “Fu quando il mio vecchio, travolto dalla tensione e dall’emozione, levò la benda macchiata di sangue con cui mi aveva tamponato la ferita, e disse: “E’ il sangue di mio figlio, ma é sangue versato per la rivoluzione”.
Il padre e il figlio, che un tempo avevano raccolto, fianco a fianco, fondi per la guerra civile spagnola, avrebbero ancora proceduto assieme. La tradizione rivoluzionaria non era andata perduta: al pari di tanti altri giovani cubani della sua generazione, Camilo si era assunto la responsabilità di portarla avanti.
Fu scelto come ultimo (o forse penultimo) membro della spedizione del “Granma” da Fidel Castro.
Camilo sarà poi tra i pochissimi sopravvissuti all’imboscata batistiana di Alegria del Pio e si distinguerà per le sue notevoli doti di coraggio e abnegazione alla causa della guerriglia sulla Sierra Maestra così da essere nominato Comandante di una delle più importanti colonne della guerriglia che libereranno la regione centrale dell’isola caraibica.
L’eroe sorridente esprimerà il suo più alto capolavoro a Yaguacay, nel versante nord della parte centrale di Cuba, dove al comando di un manipolo di uomini costringerà alla resa lo stratega batistiano Jabon Lee ed i suoi soldati asserragliati nel famoso “cuartel”. Questa superlativa azione congiuntamente con la straordinaria impresa di Che Guevara a Santa Clara costringerà Batista alla capitolazione definitiva e determinerà quindi l’ingresso vittorioso dei barbudos ad ovest sino a l’Avana.
Non gli fu però concesso di partecipare a lungo, dopo la vittoria sulla dittatura, alla costruzione della sua nuova patria. Dopo una serie di incarichi temporanei politici e militari all’interno della giovane giunta rivoluzionaria, il comandante Cienfuegos scomparirà misteriosamente il 28 ottobre 1959.
il 28 ottobre 1959, a soli 27 anni, Camilo Cienfuegos moriva in un incidente aereo. Ma egli continua a vivere nella memoria di un popolo che si riconosce pienamente in colui che, semplice lavoratore, fu esaltato dalla rivoluzione a capo leggendario di un popolo che ha fatto proprio il motto: “C’é stato un Camilo, ci saranno molti Camilo”. Addirittura Che Guevara chiamerà uno dei suoi figli Camilo.
A Yaguacay oggi vi è uno stupendo monumento dedicato all’eroe sorridente, proprio di fronte al mitico “cuartel” e sotto la statua bronzea di Camilo è situato un museo dedicato all’eroe habanero.
In questo museo sono contenuti molti reperti e documenti, sicuramente quelli più interessanti sono costituiti dalla corrispondenza tra Che Guevara e Camilo, dove emerge un grande rispetto reciproco e soprattutto l’aspetto ironico ed ottimista di Camilo che unico tra i baburdos poteva permettersi di sfottere il severissimo comandante Guevara firmandosi con degli “tu eterno chicharron” [chicharron – cicciolino, è un termine confidenziale usato per carinerie intime tra innamorati Ndt].

Fonti: Eugenio Lorenzano e Marcos Vinocour

camilo_cienfuegos_ernesto_guevara

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“Y la seguridad, expresarles
la seguridad de que aquel
¿”voy bien”? de Fidel cuando
le preguntara a Camilo, en la
Ciudad Militar a los primeros
días o el primer día de su
llegada a La Habana, no
significa la casualidad de una
pregunta hecha, a un hombre
que de casualidad estuviera a
su lado, era la pregunta hecha
a un hombre que merecía la
total confianza de Fidel, en el
cual sentía, como quizás en
ninguno de nosotros, una
confianza y una fe absoluta”.

Ernesto “Che” Guevara